Al netto di una valutazione storica del concetto di "democrazia", al punto in cui è giunta la società borghese occidentale, il "che fare" non può che incentrarsi su come le masse debbano partecipare a titolo pieno alla conduzione politica, sociale ed economica di una nazione - cioè, in forme che possano realmente originare una linea di trasmissione tra la volontà collettiva e la sua traduzione in atti politici concreti. E' necessaria una modificazione profonda degli equilibri che hanno originato l'attuale subordinazione degli interessi delle popolazioni rispetto a quelli provenienti da minoranze elitarie, saldamente alla guida dei processi di governo nelle democrazie occidentali.
La semplice osservazione della quotidianità politica designa il termine "democrazia" come un significante assurdo,
il cui senso compiuto si disperde nella defezione nascosta della realtà,
inoculata dal potere dei media, e che si sostanzia nella sistematica
falsificazione ideologica, nel ribaltamento, "ad usum Delphini", di
una verità nel suo contrario.
I dettami provenienti dalle ferree regole del modo di produzione capitalistico , rigorosamente implementati nei nostri equilibri esistenziali, divorano le nostre vite di cittadini
anestetizzati e distratti dalla pressante corruzione mentale perpetrata dalla
propinazione di contenuti mediatici avvelenati e strumentali.
La non identificazione dell'individuo in una determinata
classe è lo scopo manifesto della propagazione di un io racchiuso in un individualismo
proprietario in grado di rendere il singolo incapace di traguardare i confini
dell'interesse personale. Ricusando la propria appartenenza di classe, l' individuo perde il possesso dell'unica arma che possa
consentirgli di dare luogo a forme di lotta in grado di mutare i rapporti di forza con le classi dominanti.
Aver inseguito stoltamente i valori consumistici borghesi ha
prodotto la perdita di quella spinta ideale in grado di aggregare le masse
lavoratrici intorno a valori di solidarietà umana, fondamentali nella
costruzione di una società di eguali.
Una rivalutazione del "comune", inteso come bene
collettivo da difendere dalle brame degli interessi di élites economiche,
diventa ineludibile: per far ciò, la classe lavoratrice deve risorgere e
compattarsi, riacquistando coscienza ed orgoglio.
La "revanche" proletaria non potrà che originarsi
da una solida costruzione dei diritti di classe negati da sempre; da una presa
di coscienza politica e culturale che possa condurre ad una riappropriazione
dei beni collettivi, estorti da secoli di capitalismo predatorio. Sarà
necessario sovvertire la scala di valori di matrice borghese che ha contaminato
- attraverso la veicolazione massmediatica - le permeabili coscienze di molti;
bisognerà ricostruire forti rapporti di solidarietà e cooperazione in un
rinnovato clima di socializzazione ed aiuto reciproco; slegare la percezione di sé dalla egoistica
volontà competitiva e sopraffattoria; abbandonare la brama dell'appropriazione
materiale.
E, attraverso la rivalutazione dei beni collettivi,
ricostruire su basi etiche il rapporto tra l'uomo, il soddisfacimento delle sue
necessità primarie e l'ambiente, costruendo un legame positivo tra produzione e
salvaguardia ecologica. Una delle cosiddette "esternalizzazioni", nel lessico mistificatorio della società capitalista, è rappresentata dalla distruzione dell' ecosistema: non appare lungimirante inquinare aria, acque e ambienti per favorire l' arricchimento di élites proprietarie.
Solo rianimando una solida coscienza di classe nel proletariato (la "classe per sé" marxiana) sarà possibile sperare in una società edificata su valori opposti a quelli della decadente borghesia d' Occidente..
Solo rianimando una solida coscienza di classe nel proletariato (la "classe per sé" marxiana) sarà possibile sperare in una società edificata su valori opposti a quelli della decadente borghesia d' Occidente..
Ciò premesso, occorre soffermarsi sul concetto di proletariato e sulla sua coniugazione all' interno degli equilibri della società capitalistica attuale.
Normalmente, con proletariato si intende la massa delle
classi con redditi bassi o minimi, in contrapposizione alle minoranze
detentrici del potere economico. Nella teoria economica marxiana, il termine
designa la classe lavoratrice in quanto composta da operai salariati, cioè
operai che portano sul mercato non i prodotti del lavoro, ma la stessa
forza-lavoro quale merce, in quanto non detentori dei mezzi di produzione.
Ormai perduta quell'omogeneità dei tempi in cui vaticinava
Marx, la classe lavoratrice ha subito, negli anni - e attraverso le polimorfiche
declinazioni assunte dal capitalismo - , offensive formidabili da parte delle
classi egemoni, pronte a schierare tutte le armi a disposizione pur di
disgregarne, colonizzarne, contaminarne e disperderne la coscienza di classe.
L'avvento del neoliberismo, in qualità di suprema monocultura
economica a livello planetario, pare aver assestato un colpo definitivo alla
coscienza collettiva; i processi di cambiamento strutturale del capitalismo,
con lo spostamento delle manifatture verso Sud geografici o economici; la
definizione di sistemi premianti "ad personam" e di prebende
"una tantum"; la ricusazione dei contratti collettivi di lavoro; la
ghettizzazione delle sigle sindacali non acquiescenti; la definizione di micro
gerarchie entro l'ambito lavorativo; hanno prodotto una esiziale segmentazione della
classe lavoratrice, con la conseguente formazione di un "ceto medio"
che, custode di tutta una pletora di dettami borghesi e consumistici saldamente
conficcata nel proprio immaginario valoriale, ha creduto di potersi affrancare
dai propri legami sociali e tentato di "assurgere" cercando di conquistare un posto alla "destra del Padre": obiettivo amaramente
fallito. Ora che la classe padrona agita il cribro della
"selezione di ritorno", solo pochi scampati riusciranno a non
scivolare lungo il crinale che conduce ai nefasti della loro condizione
originaria: tutti gli altri dovranno prendere atto delle mutate condizioni e
ridefinire la propria concezione dei valori sociali, allo scopo di organizzarsi
per affrontare le emergenze amaramente intervenute.
Dopo Bretton Woods, in piena fase di sviluppo della fase taylorista-fordista del capitalismo, è sulla dicotomia sviluppo-sottosviluppo - per mezzo di istituzioni e organizzazioni internazionali (FMI,Banca Mondiale, Ong,
istituti di ricerca, università globali) -
che si è plasmata la divisione internazionale del lavoro nella seconda
metà del Novecento: se si vuole, la continuazione del colonialismo con altri
mezzi. Su questa base, vengono edificati flussi economici planetari che, poi, verranno a designare l' arcinoto concetto di "globalizzazione" (tristemente, l' estensione a livello mondiale di un modo di produzione che, Marx docet!, deve necessariamente espandersi per continuare a vivere).
Il capitalismo viene individuato dall'insieme delle strutture politiche, sociali, culturali ed ideologiche che permettono - anche attraverso la loro interazione - l'egemonia della "forma-merce"; e, dunque, la continuità dei processi di valorizzazione e accumulazione.
Il capitalismo viene individuato dall'insieme delle strutture politiche, sociali, culturali ed ideologiche che permettono - anche attraverso la loro interazione - l'egemonia della "forma-merce"; e, dunque, la continuità dei processi di valorizzazione e accumulazione.
Amaramente, va via via sgretolandosi la speranza di giungere ad una
concezione del mondo che non veda dominare aride formule di ingegneria
economica sui destini delle persone; che la vita e la salute di bambini non
debba dipendere dalle decisioni del consiglio di amministrazione di qualche
remoto hedge fund; che i valori collettivi possano finalmente prevalere
sull'interesse materiale di qualcuno.
Oggi, il capitalismo non subisce nessuna
resistenza, e la propagazione di teorie concorrenti - in grado, cioè, di
prefigurare orizzonti che non siano schiacciati sulla plurisecolare logica
dell'accaparramento delle risorse ad uso di profittabilità - viene ostacolata
dalla diuturna conclamazione del pensiero unico neoliberista, ad opera di un arcipelago
di "mediatori d'informazione" in grado solo di propagare notizie
gradite all'"establishment". Non esiste un'opposizione sociale (per
la mancanza di una classe sufficientemente coesa e dotata di un
"corpus" valoriale in grado di opporsi all'imbarbarimento
capitalistico), né un fronte politico capace di indicare vie alternative
(destra e sinistra condividono il ruolo di ancelle al "dominus"
neoliberista), né una delegittimazione filosofica (gli intellettuali sono “gramscianamente”
organici ad un potere al quale forniscono - ben remunerati - modelli
interpretativi ideologicamente proni agli interessi della classe dominante). A fronte di ciò, si assiste ad una propagazione planetaria
incontrollata di un modello socio-economico unico, ed al contrabbando dell'idea
che il sistema capitalistico sia da considerarsi come un definitivo approdo - e
a cui si possa naturalmente associare il principio di "fine della
storia"(Fukuyama).
Stante l' ovvia considerazione che le classi dominanti non abbiano alcun interesse a mutare forme ed equilibri della loro supremazia, anche una superficiale analisi degli attuali panorami
politici, ci può suggerire - parafrasando Mark Twain - che "il nemico
muove alla nostra testa" e che, quindi, sia perlomeno azzardato ritenere
che i cambiamenti alla presente situazione possano essere operati da coloro i
quali ne sono i maggiori beneficiari. Questa concezione "ingenua" dei
rapporti politico-sociali, attraverso i quali i cittadini si vedono schiacciati
in una condizione di paralizzante impotenza, viene sistematicamente propalata
dagli agguerriti giannizzeri del mondo dell'informazione;
l'incongruenza di tale impostazione si conclama ogniqualvolta la classe
politica viene chiamata a ratificare iniziative che, in qualche misura, si
incarichino di modificare quei rapporti di forza e quegli equilibri in funzione
dei quali si è venuta a determinare quella classe che, a buona ragione, può
essere definita come una vera e propria "casta" privilegiata.
Semplicemente, la classe politica italiana (ma, più in
generale, dei Paesi a capitalismo avanzato) svolge un ruolo meramente
ratificatorio in relazione a decisioni e volontà assunte altrove, e che ne
travalicano l'originario ruolo: la classe politica è nell'unica sua forma e
funzione possibile; null'altro potrebbe originare da una pletora di pasciuti servitori al servizio di potentati economici - sovranazionali e non - alle cui dipendenze si sono e sono stati collocati
ormai da decenni (la classica "sindrome di Siracusa"). Va da sé che tentare di elaborare sofisticate teorie di
rigenerazione del sistema partitico sia un mero esercizio retorico - forse
utile a differire l'irrinunciabile sostituzione di questa classe parassitaria
con uomini e meccanismi politici in grado di assicurare una reale
partecipazione della collettività alle decisioni importanti dello Stato.
Le attuali forme della pallida democrazia borghese hanno dato luogo ad
inaccettabili distorsioni nella rappresentanza della volontà generale ed alla
sua traduzione normativa, in grado di orientare le manifestazioni dello Stato
in quanto tale.
Ma, quali sono le condizioni politiche e sociali che possano
originare una così pesante sudditanza delle masse popolari nei confronti di
poteri economici oligopolistici manifesti ed occulti?
Quali sono gli strumenti attraverso i quali la coercizione
viene così spregiudicatamente esercitata?
Come l'egemonia (in senso gramsciano) ha potuto così
efficacemente chiudere le nostre menti e spegnere i nostri cuori?
Semplicemente, tecnostruttura ed esercizio manipolatorio del potere
ideologico, perpetrato attraverso l'utilizzo scientifico dei mezzi di
informazione di massa.
Categorie di professionisti organici ("embedded"),
schierati a difesa di un potere che si afferma, nei loro confronti, in forma
"remunerativa" e, pertanto, perfettamente "legittimato" (i
principi di legittimazione di un potere sono quelli attraverso i quali i
dominati riconoscono la correttezza e la coerenza sociale del loro ruolo,
benché subordinato, nella totale accettazione dell'autorità costituita) nelle
figure sociali dei "funzionari del capitale" (intellettuali,
giornalisti, docenti universitari, giuristi, avvocati, economisti, etc.).
L'immaginario capitalistico, configuratosi dopo il crollo
del Muro di Berlino, si è spinto ad abbracciare ogni parte del vissuto
dell'individuo, imponendo un imperio di simboli esistenziali votato ad ottenere
l'assoluta acquiescenza del soggetto ai principi dell'appropriazione
competitiva di merci ed oggetti feticizzati. Si assiste alla rappresentazione
di una umanità che affonda nel "mare magnun" dell'offerta
commerciale, in un'apoteosi di desideri e volontà indistinte e compulsive, la
cui esperienza di appropriazione assurge al ruolo di unica possibile esperienza
di vissuto sociale. Si giunge, per questa via, alla canonizzazione dello
"status symbol", feticcio ultimo di espressione di sé nella
proiezione consumistica dell'io asservito alla crudele "lex
consumatoria" imposta dalla società capitalistica.
Invece, ogni uomo appartenente ad una società dovrebbe avere come
diritto inalienabile quello ad un'esistenza nella quale possa dare luogo al
completamento ed alla riproduzione morale, psicologica, sociale ed affettiva
della propria esistenza: non è quello che viene assicurato dal modello dell' iper-competizione imposto delle attuali società occidentali.
Per non perdere la speranza di poter consegnare alle
generazioni future un mondo capace di rivolgersi alla mente e al cuore
dell'uomo - e non a suoi interessi
materiali - occorre elaborare ipotesi di società composte da individui che
abbiano ribaltato le priorità che secoli di capitalismo storico hanno conculcato
nella mente delle masse, perseguendo valori alternativi sui quali edificare una
società che si rigeneri armonizzando il rispetto per la vita delle persone con
quello dell'ambiente; contemperando il rispetto per la libertà individuale -
proprio della tradizione liberale - con i principi di uguaglianza e sovranità
popolare propugnati dalla tradizione democratica.
Fondamentalmente, la partita si gioca - nell'ambito delle
moderne società organizzate - sulla determinazione di quali equilibri debbano
essere raggiunti entro il rapporto tra l'interesse privato dell'individuo
imprenditore (sublimato al ruolo di "figlio migliore" della società)
e quello dell'insieme degli interessi "altri", estranei al tornaconto
individuato nel "profitto" ottenuto attraverso l'"impresa".
La contemperazione di queste due necessità - e la determinazione del loro
reciproco orientamento (convergente o divergente) - informa, da sempre, le
leggi dell'economia politica.
Storicamente, questi equilibri sono sempre stati gestiti da
una classe partitica espressione diretta di una borghesia imprenditoriale
intenzionata a non negoziare le proprie istanze di appropriazione della vita
dei lavoratori e dell'ecosistema, entità ridotte a mere variabili del modo di
produzione capitalistico.
Un radicale cambiamento valoriale deve essere il fulcro
della crescita culturale della classe lavoratrice, diventando un approdo sicuro
per la crescita intellettuale e morale delle nuove generazioni. Un insieme di
valori fondanti capace di opporsi alla dissoluzione intellettuale promossa da
una società guidata da chi intenda trasformare le persone - con il loro portato
di storie personali, emozioni, sensibilità individuali - in consumatori manipolabili.
Ritagliarsi spazi di autonomia intellettuale, rispetto
all'immanenza valoriale inoculata dal materialismo di una società votata ad una
cieca produzione dedicata ad un cieco consumo; perseguire un impegno quotidiano
per disinnescare la volontà dei mezzi di informazione e il mondo della
pubblicità di invadere la fascia di rispetto dell'individuo, violata in ogni
singolo momento della quotidianità, nel tentativo di inchiodarne la personalità
alle istanze consumistiche di una società organizzata sulla base di una
latitanza di quelli che dovrebbero essere i valori fondanti della persona.
Perché non tornare a sentirci intimamente e pienamente
uomini, capaci, cioè, di combattere per restituire un futuro ai nostri figli?
Per farlo, occorre sbarazzarsi delle illusioni e delle
blandizie che un potere interessato alla nostra obbedienza ci ammannisce (la
democrazia, la libertà, la pluralità), al solo scopo di asservire il nostro
cuore, la nostra anima, la nostra immaginazione.
Il superamento del sistema capitalistico e la costruzione di
una società più giusta e solidale è un obiettivo che non può mancare nel
bagaglio morale e culturale di un uomo che voglia dirsi migliore, di un uomo
che sia in grado di consegnare ai propri figli un mondo finalmente ricostruito
su basi morali ed etiche completamente affrancate dall'avidità e dall'egoismo.
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