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venerdì 31 gennaio 2014

SAN GIORGIO E IL DRAGO di Fausto Rinaldi


Attualmente, quella a cui stiamo assistendo è una profonda mutazione degli equilibri tra la dimensione politico-sociale dello Stato – ancora rigidamente vincolata a caratteri territoriali, normativi e culturali tipici di una nazione -  e quella economico-finanziaria dei capitali liberati grazie ai precetti neoliberisti – non legati a vincoli di alcun genere e liberi di raggiungere le aree di maggiore redditività.
L’ abbandono del controllo dei movimenti di capitale è la chiave per interpretare l’ attuale situazione di subordinazione della politica degli Stati rispetto agli interessi economici di lobbies finanziarie sovranazionali.

UN LUTTO VERAMENTE GRANDE PER NOI di Gianfranco La Grassa


Gianfranco La Grassa ricorda il filosofo Costanzo Preve, suo amico.
La prosa è scarna, ma riesce a comunicare l' infinità desolazione dell' essere umano di fronte alla fine dell' esistenza terrena di una persona cara; l' impotenza di fronte all' ineluttabilità della perpetua assenza che la morte consegna a chi resta. E' un approccio sguarnito, attonito e vinto. Struggente. Un' orazione funebre toccante, intensa e dolce; anche grazie alla dignitosa assenza di qualsiasi retorica di circostanza.
Un pezzo degno di memoria.
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So adesso della morte di Costanzo Preve avvenuta questa mattina. L’avevo sentito al telefono un paio di settimane fa all’incirca; non certo bene, ma comunque senza che ne avessi una sensazione di precipitazione degli eventi. Sono riuscito infine a parlare con la moglie, ma non ho voluto insistere nei particolari per ovvii motivi. Purtroppo ancora un incidente, una caduta disatrosa e poi, insomma, condizioni generali per cui il cuore non ha retto. E’ passato dal sonno a quello più lungo e sempre eguale a se stesso.

mercoledì 29 gennaio 2014

PANOPLIE CAPITALISTICHE di Fausto Rinaldi


L'opera di forgiatura della coscienza collettiva perseguita dal potere in atto - declinato in tutte le sue derivazioni ed individuato sulla base delle sue infinite sfaccettature - si prefigge l'obiettivo di legittimare, attraverso un processo di razionalizzazione del principio di autorità, il proprio ruolo; da ciò discende tutto quell'insieme di condizioni capaci di garantire la messa in atto di sistemi di «governance», in grado di assicurare lo svolgimento delle funzioni di conduzione di una nazione. Evidentemente, tutto ciò avviene in condizioni di grave deficit democratico: alla collettività non viene data la possibilità materiale di determinare l'orientamento delle scelte politiche del Paese né, tantomeno, di sviluppare quell'insieme di conoscenze in grado di dare luogo ad una solida coscienza critica.
Tuttavia, questa negazione di un diritto basilare non viene percepita in tutta la sua gravità, perché le moltitudini vengono sviate dalle sofisticate forme di distrazione  operate dal potere ideologico, esercitato con la complice partecipazione dell' «intellighenzia»  e dei mezzi di informazione.

martedì 28 gennaio 2014

À LA GUERRE COMME À LA GUERRE (NON E' UNA SCAMPAGNATA) di Fausto Rinaldi



Le logiche che sottostanno e corroborano i sistemi politici instaurati nelle moderne democrazie Occidentali godono di una loro cinica coerenza.
Non ci troviamo di fronte a una questione innocua: le forze che premono sugli equilibri della nostra esistenza sono determinate a raggiungere il loro massimo risultato possibile, anche violando quell'insieme di diritti che pensavamo di aver acquisito in qualità di appartenenti a quella che viene considerata come una «civiltà democratica».
In realtà, il capitalismo non può nascere e svilupparsi senza l'ausilio di un apparato ideologico che si incarichi di intervenire sulla cultura della società, allo scopo di suffragare con una patente di legittimità e di naturalità i meccanismi politici, sociali ed economici che sottintendono al modo di produzione proprio dell'economia di mercato. Quindi, il capitalismo non ha solo bisogno di capitali e manodopera salariata ma, anche e soprattutto, di una penetrazione culturale che ne sancisca gli equilibri, per legittimarne la nascita e porre le basi per il suo sviluppo e la sua perpetuazione.

BREVIARIO CAPITALISTICO di Fausto Rinaldi


Nella definizione di Werner Sombart, il capitalismo è "un'organizzazione economica di scambio, in cui collaborano, uniti dal mercato, due gruppi diversi della popolazione, i proprietari dei mezzi di produzione (...) ed i lavoratori nullatenenti, e che è dominata dal principio del profitto e del razionalismo economico".
Secondo Max Weber "il capitalismo si identifica con l’aspirazione al guadagno nell’impresa capitalistica razionale e continuativa, e ad un guadagno sempre rinnovato, ossia alla redditività".
Il capitalismo è un sistema economico in cui la produzione di beni e servizi viene prevalentemente svolta da imprese private, le quali scambiano questi beni e servizi sulla base di un sistema di prezzi che si forma (almeno in base alla teoria) liberamente sul mercato, in ragione del rapporto esistente tra domanda e offerta. Nel modo di produzione capitalistico, il mercato è al centro degli equilibri di sistema (pur non rappresentandone la condizione ultima: quindi, necessaria ma non sufficiente); gli scambi sono regolati dalla legge della domanda e dell’offerta; i fattori di produzione (compresa la forza lavoro) sono pagati in moneta, la quale diventa un elemento fondamentale per il funzionamento dell’economia capitalistica e per il relativo calcolo razionale di costi e ricavi (la ratio contabile).

giovedì 23 gennaio 2014

IL FALLIMENTO SOCIALE DEL CAPITALISMO di Fausto Rinaldi


La crisi del 2007 ha sancito – anche per i più disattenti -  un clamoroso fallimento del mercato; meno evidente, ma ugualmente bruciante (almeno per la pletora di economisti neoliberisti “organici”, corifei del consolidato ordine borghese), quello della proprietà e produzione privata.
Come ampiamente dimostrato in occasione di passate crisi sistemiche, il capitale, fiero osteggiatore dell’ intervento statale a tutela delle fasce più deboli della popolazione, torna a concepire un intervento dello Stato per soccorrere il sistema creditizio e industriale attraverso forme di finanziamento che possano “aggiustare” i danni prodotti dagli eccessi degli “spiriti animali” incarnati dagli imprenditori rampanti e, nel caso in questione, finiti con le chiappe a bagno. Quindi, ecco che si invocano interventi per ripianare i buchi di bilancio dell’ allegro sistema bancario, lanciatosi a capofitto nel vortice della finanza strutturata e riempitosi di titoli del tutto inesigibili; oppure, richiedere provvedimenti legislativi a sostegno della produzione, incentivi, sgravi, etc..: il più classico degli esempi di privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite.

FETICISMI di Fausto Rinaldi


Preso a prestito dall’antropologia e dalla storia delle religioni, il termine “feticismo” vuole indicare la tendenza a proiettare sugli oggetti una serie di significati e di valori ideali, assumendone una sorta di dipendenza funzionale, prodotta dall’accumularsi di suggestioni, di induzioni valoriali provocate dalla manipolazione ideologica attuata dalla società, intesa nella sua sostanziale essenza organizzativa.
Il feticismo delle merci si crea laddove esista una doppia natura della merce, cioè, dove il valore di mercato (rappresentato dalla quota di denaro necessaria per acquisirne la proprietà, nelle presenti condizioni della compravendita) determina la formazione dei rapporti sociali - fondati sullo scambio economico – e lasciando al valore d’ uso un ruolo, di fatto, secondario e subordinato.
Il processo di accumulazione capitalistica si impossessa degli attori sociali e ne traccia confini esistenziali e limiti comportamentali particolarmente rigidi, come conseguenza della penetrazione, nel vissuto sociale, di logiche in grado di affermare equilibri distruttivi per l’ intima essenza etica dell’individuo.

MONEY SUPREMACY di Fausto Rinaldi


Non c’ è posto per tutti sulla Terra: il capitalismo, affermatosi a livello planetario, decide, in funzione dei meccanismi propri del mercato iper-liberalizzato ed autoregolante, chi viva e chi muoia; chi abbia diritto ad una casa calda e confortevole e chi, invece, sia costretto ad vivere in una baracca; chi possa accompagnare verso un futuro promettente la propria progenie e chi la debba abbandonare ai perigli del mondo.
Queste le logiche appartengono ad uno spietato conflitto distributivo, che sancisce inesorabilmente il confine tra “sommersi” e “salvati”.
Le regole a fondamento della società sono chiare: il valore delle persone viene misurato sulla base della loro capacità di produrre un “profitto”, alla predisposizione del soggetto di farsi strumento di interessi estranei; siamo evidentemente di fronte ad uno scadimento di quei rapporti relazionali che dovrebbero essere posti a fondamento della società stessa.
Bisogna chiedersi se questo sistema produttivistico-consumistico, che si origina su basi economiche e finisce per colonizzare culturalmente gli assetti sociali, sia, in qualche modo, accettabile. Quale forma di legittimazione è possibile, di fronte alle clamorose distorsioni e asimmetrie alle quali, quotidianamente, siamo chiamati ad assistere? E quali forme possibili di rifiuto e di protesta abbiamo a disposizione?

IL “COSTITUZIONALISMO”, FASE SUPREMA DELL’ ASSOGGETTAMENTO DI CLASSE di Fausto Rinaldi


Sulla considerazione che i principi declamati nella nostra Costituzione repubblicana altro non siano che un’ipocrita elencazione di buoni intendimenti, validi unicamente per carpire la tradizionale credulità popolare, sarebbe il caso che non si dovesse più intervenire. Caso vuole, purtroppo, che fatti recenti abbiano riportato di attualità il tema di una Carta costituzionale posta come  ultimo, estremo, baluardo a difesa degli interessi della classe lavoratrice.
Indubitabilmente, si tratta di una pratica buona per pifferai magici alle prime armi (Landini) o per vecchi marpioni sul limitare del pensionamento politico (Rodotà); un vessillo da agitare per coprire una rovinosa mancanza di contenuti ideologici, o per sancire una sostanziale adesione alle logiche classiste di un sistema dal quale si traggono, pasciutamente, corpose sostanze.

PENSIERINO SUL CONFINE DELLA SERA (OSCURO E SILENZIOSO, SE NE STA…) di Fausto Rinaldi


Il modo di produzione capitalistico racchiude in sé i rapporti sociali che viene a determinare: “Ecce Materialismo storico”.
L’attuale società capitalistica “borghese” (ossia, dominata da quella classe imprenditoriale che, a suo tempo, ha detronizzato l’aristocrazia nobiliare di origine feudale) - e che si pregia di definirsi con un curioso aggettivo: “democratica” - , ha modellato la propria struttura in funzione dei rapporti di produzione sanciti dal modello economico capitalistico: tutto il resto attiene a una definizione di senso dai tratti spiccatamente ideologici, utile a convertire le moltitudini al loro triste e segnato destino.
Entro questa cornice, si muove il proteiforme concetto di “egemonia” che Gramsci ci ha consegnato, e che può fungere da lente ustoria per concentrare i determinanti sociali e giungere a una attendibile definizione di tutti quei rapporti di potere che designano gli equilibri all’interno di società multiformi e organizzate in forme burocraticamente complesse.
Ecco che, con un pizzico di Hobbes; due o tre manciate di Mosca, Pareto e Michels (con Mills sull’ uscio…); Marx ed Engels in gran copia (ed Hegel a vegliare); Keynes q.b., si può approdare sulle fertili distese di un pensiero solidamente antagonista al grigio conformismo gregario conculcato e sussunto dalla sordida e imperante ideologia borghese, colpevole dello spaccio strumentale di definizioni di realtà “ad usum Delphini”.
E questo è quanto.

SUSSUNZIONE di Fausto Rinaldi

 
Il concetto di sussunzione, in Marx, assume il significato preminente di assoggettamento del lavoro al capitale. Questo assoggettamento comporta la sottoposizione ad un nutrito numero di vincoli, primo fra tutti quello che è all’ origine delle dinamiche di accumulazione capitalistica: la competizione (che si articola nei vari gradi di “competitività”, concetto alla base di tutte le politiche produttive e commerciali delle imprese).
Visto che il costo del lavoro è un fattore produttivo preminente, le logiche capitalistiche, orientate verso la massima competitività (tu chiamala, se vuoi, “vendibilità del prodotto”), vedono nel suo contenimento un fattore cruciale. Ecco che il lavoratore viene così a subire la costante pressione alla riduzione del suo costo di produzione, cioè del suo salario (inteso come quella quantità di denaro che ne permetta la riproduzione esistenziale; in relazione alle esigenze – bisogni primari e secondari – legate al modello sociale di appartenenza).
Una sorta di “legge di gravitazione economica borghese”, una legge “naturale” - sancita e conclamata dalle dotte scritture prodotte dalla monocultura neoliberista -  che comprime inevitabilmente reddito ed esistenza sociale delle masse lavoratrici.
Pertanto, il lavoro (da dividersi, marxianamente, in “lavoro vivo”, cioè, quello del ciclo produttivo in atto; e “lavoro morto”, cioè, quello incorporato nei mezzi di produzione), ridotto a mero fattore di produzione - e, nel ciclo capitalistico, diventato “merce” - , viene svilito e prosciugato della sua componente umana: al lavoratore, una volta liquidato con la corresponsione del salario, non sono riconosciute caratteristiche che possano ricondurre la sua figura a fattezze “umane”; egli è merce e fattore produttivo inerte.
Tutto ciò perché la “bronzea legge del profitto” è impressa a lettere di fuoco nella cultura dominante -  che è, come suggerisce il vate di Treviri, la cultura delle classi dominanti.