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martedì 28 gennaio 2014

À LA GUERRE COMME À LA GUERRE (NON E' UNA SCAMPAGNATA) di Fausto Rinaldi



Le logiche che sottostanno e corroborano i sistemi politici instaurati nelle moderne democrazie Occidentali godono di una loro cinica coerenza.
Non ci troviamo di fronte a una questione innocua: le forze che premono sugli equilibri della nostra esistenza sono determinate a raggiungere il loro massimo risultato possibile, anche violando quell'insieme di diritti che pensavamo di aver acquisito in qualità di appartenenti a quella che viene considerata come una «civiltà democratica».
In realtà, il capitalismo non può nascere e svilupparsi senza l'ausilio di un apparato ideologico che si incarichi di intervenire sulla cultura della società, allo scopo di suffragare con una patente di legittimità e di naturalità i meccanismi politici, sociali ed economici che sottintendono al modo di produzione proprio dell'economia di mercato. Quindi, il capitalismo non ha solo bisogno di capitali e manodopera salariata ma, anche e soprattutto, di una penetrazione culturale che ne sancisca gli equilibri, per legittimarne la nascita e porre le basi per il suo sviluppo e la sua perpetuazione.

Inoltre, il capitalismo deve poter disporre di apparati statuali (burocrazia) e dispositivi normativi in grado di favorire le iniziative di impresa e, nel contempo, esercitare un organizzato controllo sociale; anche grazie al «monopolio della violenza», attraverso il quale lo Stato borghese regola e disciplina le istanze delle classi popolari.
Nelle civiltà precapitalistiche, la circolazione semplice delle merci - la vendita per la compera - era al servizio di un fine esterno a un meccanismo economico; e, pertanto, funzionale all'appropriazione di valori d'uso, cioè per la soddisfazione di bisogni primari.
Con l'avvento della modernità capitalistica si è elevato a "stella polare" il perseguimento dell'arricchimento, del rapporto economico D-M-D (denaro - merce - denaro), dell'appropriazione materiale, del costante aumento del capitale; alimentati dall'illimitato ed incontrollato proliferare di desideri e di bisogni indotti. Lo scopo della produzione diventa il guadagno fine a se stesso, e incaricato di conferire "onorabilità" e "riconoscibilità" sociale all'accumulatore, impegnato in un esercizio di appropriazione senza fine. Il capitalismo riconosce dignità all'avidità umana, e ne articola le derivazioni nell'ambito della convivenza sociale, attraverso la creazione di sistemi statali deputati a favorire e ad assecondare le necessità e la mire di classi egemoni, chiamate a dominare su classi subordinate. Il capitalismo favorisce una squilibrata distribuzione di risorse, una diseguale possibilità di affermazione sociale dei singoli, una asimmetria fondamentale nell'acquisizione delle conoscenze e dei saperi.
Se il capitalismo può essere definito come l’insieme delle condizioni politiche, sociali, culturali e ideologiche che consentono l’egemonia del capitale - e, conseguentemente, assicurare la continuità dei processi di valorizzazione e di accumulazione - allora possiamo assumere che la sua storia si possa ricondurre all' organizzazione di un impianto repressivo esercitato da una minoranza nei confronti di una moltitudine: quale che sia la forma di governo più utile al raggiungimento di questo supremo obiettivo.
Questo impianto repressivo viene attuato per mezzo della mediazione politica, interposta tra le moltitudini ed i processi esecutivi necessari per dare corpo al governo di una nazione.
Quando la rappresentanza politica di una collettività viene deputata ad una classe professionalizzata, ci si deve confrontare, inevitabilmente, con le meccaniche di concentrazione del potere, così chiaramente descritte dagli elitisti come Pareto, Michels e Mosca.
Vengono così a formarsi élites o caste che, a fronte di principi di rappresentatività normati e sanciti da carte costituzionali potentemente retoriche, nella realtà delle moderne democrazie parlamentari, assumono un potere che si dipana intorno alla generazione di vergognosi privilegi di classi egemoni, venute a gravare con il loro peso sull'intero corpo sociale, di fatto non rappresentato da parte di un sistema partitico sclerotizzato intorno ad una pletora di interessi e di privilegi.
E ancora, la classe politica è normalmente costituita da individui che, pallidamente o per nulla animati da spinte idealistiche, si risolvono ad intraprendere una carriera che possa assicurare loro un futuro meno incerto, e che gli permetta di circondarsi di tutte quelle prebende e gratificazioni economiche normalmente legate al ruolo - unitamente alla cospicua acquisizione di rilevanza sociale e di potere esecutivo.
Costoro, da un lato impegnati a disegnarsi una coerenza elettorale e, dall'altro, dotati di orecchie e tasche sensibili alle istanze di progresso - perlopiù, personale - propugnate dai grandi potentati economici o dai loro emissari, non esitano ad orientare le proprie filosofie nascoste sui percorsi suggeriti dai munifici pagatori.
Per dirla con le esemplari parole di Piero Bevilacqua: “Nessun’altra prospettiva emerge dalle loro parole, se non rendere tutto il vivente perfettamente vendibile. La futura società che essi riescono a prefigurare non è che un pulviscolo di individui e di presidi privati tenuti insieme dagli scambi monetari. Per questo, difendere (...) il patrimonio collettivo della nazione, consentirà di mostrare ancor più nitidamente il nulla verso cui marciano questi fautori della crescita, il cui unico orizzonte è quello di sciogliere la società nell’acido del mercato."
Perciò, analizzare i rapporti di potere che si intersecano all'interno di una società complessa e di come questi determinino gli equilibri nella “governance”, significa, soprattutto, chiedersi quali interazioni si sviluppino e si intreccino nell'ambito del processo legislativo: solo attraverso la puntuale individuazione dei meccanismi in funzione dei quali viene edificato il processo di costruzione delle leggi si potrà giungere alla piena comprensione delle sfere di influenza dei poteri in atto negli Stati-nazione del nucleo egemone Occidentale, fulcro dell' «economia mondo». Definire quanto dell'attività legislativa sia direttamente riconducibile agli interessi ed alle influenze delle “corporation”, e, per conseguenza, determinare quanto della volontà di grandi poteri economici possa condizionare gli orientamenti delle politiche sociali ed economiche della società nel suo insieme.
Valutare, con scientifico rigore, il grado di compromissione raggiunto dai partiti politici, sancito - per quel che attiene alla realtà italiana - anche dall'orrida commistione territoriale perpetratasi nella Roma dei salotti di vario orientamento e malaffare. Smascherare gli equilibri di un sistema che si regge sulle «lobby», sugli interessi di «corridoio», sui «gruppi di pressione», sulle conventicole, sulle trasversalità “amicali”, sulla familistica distrazione di risorse, a fluire dagli ambiti collettivi verso l’ orbita di sfere e interessi privati.
Tutto ciò, sarà utile per definire con schiacciante icasticità il ruolo profondamente corruttivo assunto dai rappresentanti politici nelle moderne democrazie parlamentari.
La sostenibilità di questo sistema, così squilibrato, viene assicurata attraverso una serie nutrita - e scientificamente applicata - di strumenti di condizionamento ideologico, che vedono nella costruzione di un sistema mediatico pervasivo il fulcro del controllo della cosiddetta opinione pubblica. La sistematica inoculazione nelle menti della popolazione di valori fatui ed inconsistenti, la costante distrazione rispetto alle necessità sociali di una nazione, l'affermazione e la perpetuazione di modelli vacui e assurdi, sono parte di un articolato e mirato metodo di continuazione dei rapporti di potere.
Si aggiunga un’ altra acuminata arma a disposizione delle élites dominanti: la diffusione dei principi dell' «individualismo metodologico» - in ragione del quale una società sia da considerarsi come la somma degli interessi individuali atomizzati, fatti assurgere al ruolo di dominante nell'azione sociale (tutti imprenditori di sé stessi, tutti con il proprio destino nelle proprie mani, in un ambito di concorrenza e competizione senza mediazione con i propri simili) - che dà origine al concetto di «homo oeconomicus» (fondamentale della teoria economica classica), figura caratterizzata da principi di comportamento razionale (soprattutto come precisione nel calcolo contabile, una delle caratteristiche all'origine, secondo Weber, del sistema capitalistico) e l’interesse esclusivo per la cura dei suoi propri interessi individuali.
In ambito lavorativo, l'individualismo metodologico si traduce in una personalizzazione del rapporto di lavoro: il lavoratore viene spinto a partecipare ad una «competizione orizzontale» nei confronti dei propri colleghi, sostenuta dalla promessa di gratificazioni «ad personam».
Questo genera una forte competitività tra pari e una fatale disgregazione della percezione di classe, con relativa scomparsa di comportamenti solidali e liberazione delle volontà coercitive provenienti dai datori di lavoro: le ovvie conseguenze sono la distruzione della coesione di classe, imprescindibile precondizione per riuscire a rintuzzare le offensive del capitale.

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