Le logiche che
sottostanno e corroborano i sistemi politici instaurati nelle moderne
democrazie Occidentali godono di una loro cinica coerenza.
Non ci troviamo di fronte a una questione innocua: le
forze che premono sugli equilibri della nostra esistenza sono determinate a
raggiungere il loro massimo risultato possibile, anche violando quell'insieme
di diritti che pensavamo di aver acquisito in qualità di appartenenti a quella
che viene considerata come una «civiltà democratica».
In realtà, il capitalismo non può nascere e svilupparsi
senza l'ausilio di un apparato ideologico che si incarichi di intervenire sulla
cultura della società, allo scopo di suffragare con una patente di legittimità
e di naturalità i meccanismi politici, sociali ed economici che sottintendono
al modo di produzione proprio dell'economia di mercato. Quindi, il capitalismo
non ha solo bisogno di capitali e manodopera salariata ma, anche e soprattutto,
di una penetrazione culturale che ne sancisca gli equilibri, per legittimarne
la nascita e porre le basi per il suo sviluppo e la sua perpetuazione.
Inoltre, il capitalismo deve
poter disporre di apparati statuali (burocrazia) e dispositivi normativi in
grado di favorire le iniziative di impresa e, nel contempo, esercitare un
organizzato controllo sociale; anche grazie al «monopolio della violenza»,
attraverso il quale lo Stato borghese regola e disciplina le istanze delle
classi popolari.
Nelle civiltà precapitalistiche, la circolazione semplice
delle merci - la vendita per la compera - era al servizio di un fine esterno a
un meccanismo economico; e, pertanto, funzionale all'appropriazione di valori
d'uso, cioè per la soddisfazione di bisogni primari.
Con l'avvento della modernità capitalistica si è elevato
a "stella polare" il perseguimento dell'arricchimento, del rapporto
economico D-M-D (denaro - merce - denaro), dell'appropriazione materiale, del
costante aumento del capitale; alimentati dall'illimitato ed incontrollato
proliferare di desideri e di bisogni indotti. Lo scopo della produzione diventa
il guadagno fine a se stesso, e incaricato di conferire "onorabilità"
e "riconoscibilità" sociale all'accumulatore, impegnato in un
esercizio di appropriazione senza fine. Il capitalismo riconosce dignità
all'avidità umana, e ne articola le derivazioni nell'ambito della convivenza
sociale, attraverso la creazione di sistemi statali deputati a favorire e ad
assecondare le necessità e la mire di classi egemoni, chiamate a dominare su
classi subordinate. Il capitalismo favorisce una squilibrata distribuzione di
risorse, una diseguale possibilità di affermazione sociale dei singoli, una
asimmetria fondamentale nell'acquisizione delle conoscenze e dei saperi.
Se il capitalismo può essere definito come l’insieme
delle condizioni politiche, sociali, culturali e ideologiche che consentono
l’egemonia del capitale - e, conseguentemente, assicurare la continuità dei
processi di valorizzazione e di accumulazione - allora possiamo assumere che la
sua storia si possa ricondurre all' organizzazione di un impianto repressivo
esercitato da una minoranza nei confronti di una moltitudine: quale che sia la
forma di governo più utile al raggiungimento di questo supremo obiettivo.
Questo impianto repressivo viene attuato per mezzo della
mediazione politica, interposta tra le moltitudini ed i processi esecutivi
necessari per dare corpo al governo di una nazione.
Quando la rappresentanza politica di una collettività
viene deputata ad una classe professionalizzata, ci si deve confrontare,
inevitabilmente, con le meccaniche di concentrazione del potere, così
chiaramente descritte dagli elitisti come Pareto, Michels e Mosca.
Vengono così a formarsi élites o caste che, a fronte di principi
di rappresentatività normati e sanciti da carte costituzionali potentemente
retoriche, nella realtà delle moderne democrazie parlamentari, assumono un
potere che si dipana intorno alla generazione di vergognosi privilegi di classi
egemoni, venute a gravare con il loro peso sull'intero corpo sociale, di fatto
non rappresentato da parte di un sistema partitico sclerotizzato intorno ad una
pletora di interessi e di privilegi.
E ancora, la classe politica è normalmente costituita da
individui che, pallidamente o per nulla animati da spinte idealistiche, si
risolvono ad intraprendere una carriera che possa assicurare loro un futuro
meno incerto, e che gli permetta di circondarsi di tutte quelle prebende e
gratificazioni economiche normalmente legate al ruolo - unitamente alla
cospicua acquisizione di rilevanza sociale e di potere esecutivo.
Costoro, da un lato impegnati a disegnarsi una coerenza
elettorale e, dall'altro, dotati di orecchie e tasche sensibili alle istanze di
progresso - perlopiù, personale - propugnate dai grandi potentati economici o
dai loro emissari, non esitano ad orientare le proprie filosofie nascoste sui
percorsi suggeriti dai munifici pagatori.
Per dirla con le esemplari parole di Piero Bevilacqua:
“Nessun’altra prospettiva emerge dalle loro parole, se non rendere tutto il
vivente perfettamente vendibile. La futura società che essi riescono a
prefigurare non è che un pulviscolo di individui e di presidi privati tenuti
insieme dagli scambi monetari. Per questo, difendere (...) il patrimonio
collettivo della nazione, consentirà di mostrare ancor più nitidamente il nulla
verso cui marciano questi fautori della crescita, il cui unico orizzonte è
quello di sciogliere la società nell’acido del mercato."
Perciò, analizzare i rapporti di potere che si
intersecano all'interno di una società complessa e di come questi determinino
gli equilibri nella “governance”, significa, soprattutto, chiedersi quali
interazioni si sviluppino e si intreccino nell'ambito del processo legislativo:
solo attraverso la puntuale individuazione dei meccanismi in funzione dei quali
viene edificato il processo di costruzione delle leggi si potrà giungere alla
piena comprensione delle sfere di influenza dei poteri in atto negli
Stati-nazione del nucleo egemone Occidentale, fulcro dell' «economia mondo».
Definire quanto dell'attività legislativa sia direttamente riconducibile agli
interessi ed alle influenze delle “corporation”, e, per conseguenza,
determinare quanto della volontà di grandi poteri economici possa condizionare
gli orientamenti delle politiche sociali ed economiche della società nel suo
insieme.
Valutare, con scientifico rigore, il grado di
compromissione raggiunto dai partiti politici, sancito - per quel che attiene
alla realtà italiana - anche dall'orrida commistione territoriale perpetratasi
nella Roma dei salotti di vario orientamento e malaffare. Smascherare gli
equilibri di un sistema che si regge sulle «lobby», sugli interessi di
«corridoio», sui «gruppi di pressione», sulle conventicole, sulle trasversalità
“amicali”, sulla familistica distrazione di risorse, a fluire dagli ambiti
collettivi verso l’ orbita di sfere e interessi privati.
Tutto ciò, sarà utile per definire con schiacciante
icasticità il ruolo profondamente corruttivo assunto dai rappresentanti
politici nelle moderne democrazie parlamentari.
La sostenibilità di questo sistema, così squilibrato,
viene assicurata attraverso una serie nutrita - e scientificamente applicata -
di strumenti di condizionamento ideologico, che vedono nella costruzione di un
sistema mediatico pervasivo il fulcro del controllo della cosiddetta opinione
pubblica. La sistematica inoculazione nelle menti della popolazione di valori
fatui ed inconsistenti, la costante distrazione rispetto alle necessità sociali
di una nazione, l'affermazione e la perpetuazione di modelli vacui e assurdi,
sono parte di un articolato e mirato metodo di continuazione dei rapporti di
potere.
Si aggiunga un’ altra acuminata arma a disposizione delle
élites dominanti: la diffusione dei principi dell' «individualismo
metodologico» - in ragione del quale una società sia da considerarsi come la
somma degli interessi individuali atomizzati, fatti assurgere al ruolo di
dominante nell'azione sociale (tutti imprenditori di sé stessi, tutti con il
proprio destino nelle proprie mani, in un ambito di concorrenza e competizione
senza mediazione con i propri simili) - che dà origine al concetto di «homo
oeconomicus» (fondamentale della teoria economica classica), figura
caratterizzata da principi di comportamento razionale (soprattutto come
precisione nel calcolo contabile, una delle caratteristiche all'origine,
secondo Weber, del sistema capitalistico) e l’interesse esclusivo per la cura
dei suoi propri interessi individuali.
In ambito lavorativo, l'individualismo metodologico si
traduce in una personalizzazione del rapporto di lavoro: il lavoratore viene
spinto a partecipare ad una «competizione orizzontale» nei confronti dei propri
colleghi, sostenuta dalla promessa di gratificazioni «ad personam».
Questo genera una forte competitività tra pari e una
fatale disgregazione della percezione di classe, con relativa scomparsa di
comportamenti solidali e liberazione delle volontà coercitive provenienti dai
datori di lavoro: le ovvie conseguenze sono la distruzione della coesione di
classe, imprescindibile precondizione per riuscire a rintuzzare le offensive
del capitale.
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