Attualmente, quella a cui stiamo assistendo è una profonda mutazione degli equilibri tra la dimensione politico-sociale dello Stato – ancora rigidamente vincolata a caratteri territoriali, normativi e culturali tipici di una nazione - e quella economico-finanziaria dei capitali liberati grazie ai precetti neoliberisti – non legati a vincoli di alcun genere e liberi di raggiungere le aree di maggiore redditività.
L’
abbandono del controllo dei movimenti di capitale è la chiave per interpretare
l’ attuale situazione di subordinazione della politica degli Stati rispetto agli interessi
economici di lobbies finanziarie sovranazionali.
L’ unico
problema affrontato a livello politico è come fare accettare alla collettività
questo processo di spoliazione democratica, presentandolo sotto prospettive che
possano far sorbire l’ amaro calice delle politiche di "austerity", giustificando queste pratiche in ragione
della loro indiscutibile necessità e della loro indifferibilità.
Normalmente,
tutto ciò viene corredato dalla propagazione, attraverso i circuiti di
controllo ideologico (televisioni, giornali, siti internet, la galassia dei
media "embedded", cioè organici al sistema di potere), di teorie, ipotesi,
dottrine e teoremi volti a confermare inesorabilmente le tesi all' origine della spoliazione dei beni comuni a favore di interessi di minoranze organizzate.
Per come
si sono venuti a configurare gli equilibri tra gli Stati nazionali a controllo
democratico e le dinamiche proprie dell’ economia globale, non sembrano più
esserci margini di un possibile equilibrio: il modello di Stato democratico
(nell’ accezione consueta del termine) non può ormai più stare al passo con le
esigenze di sistemi economici sovranazionali intenzionati ad impossessarsi,
senza tema di opposizioni, del controllo politico ed economico delle nazioni.
Tutto ciò,
per mezzo di una Unione Europea gestita essenzialmente da un trust di istituti bancari privati – che
dettano, attraverso istituzioni solo apparentemente democratiche, le “agende”
economiche dell’ Unione - sta già
avvenendo, con il beneplacito di entità politiche nazionali che, per interesse
o incapacità, si sono assoggettate a logiche ratificatorie che, di fatto, ne
hanno svuotato il già precario concetto di rappresentatività democratica.
Assistiamo,
quindi, all’ impari confronto tra poteri
globali (eminentemente poteri economici che, come noto, permettono l’
accumulazione di un potere politico acquisito mediante corruzione e lobbismo) e
categorie politiche nazionali non determinate e non interessate ad opporsi a queste forze dominanti.
La
crescita smisurata del potere economico dei capitali internazionali si è sposata alla
liberazione etica dei principi di redditività economica: quale obiezione si può
opporre ad uno sprezzante Marchionne che minaccia di chiudere stabilimenti in
Italia per dislocarli laddove possa usufruire di un costo della manodopera più basso, alla ricerca di fattori produttivi più
convenienti?
La logica imperante è ormai questa e, come norma, alla crescita dei profitti farà seguito una degradazione sociale che i più riterranno normale conseguenza di equilibri economici da recuperare.
La logica imperante è ormai questa e, come norma, alla crescita dei profitti farà seguito una degradazione sociale che i più riterranno normale conseguenza di equilibri economici da recuperare.
Quindi, le grandi multinazionali, i grandi poteri finanziari globali, hanno sviluppato
poteri illimitati , incontrollati, privi
di regole e in grado di imporre direttive e logiche alla politica degli Stati
nazionali.
Il ruolo
svolto dall’ ideologia neoliberista, nell’ affermare gli interessi di pochi a
scapito delle necessita delle masse e degli equilibri ecologici del pianeta, è
stato fondamentale. Il neoliberismo poggia le proprie fondamenta su
due dogmi, ormai acquisiti e metabolizzati dai capitalismi occidentali: la
piena libertà economica alla base delle libertà individuali e le leggi del
mercato assurte al ruolo di leggi naturali.
Queste due
raffigurazioni ideologiche si saldano mutuamente a sostenere l’ ineludibile
necessità, posta di fronte alle società umane, di servire gli equilibri
dettati dalla scienza economica corrispondente. Ecco che alle società viene
negata la possibilità di influenzare i processi naturali di un’ economia che
deve essere lasciata libera di manifestarsi in tutte le sue forme, e della cui
consistenza si possono avere le stesse conferme empiriche riservate ai fenomeni fisici.
Quindi
niente Stato (la collettività) e tutto “mercato” (l’ impresa privata), in una
realtà che trasforma la rappresentanza politica in una “tecnocrazia” incaricata
di avallare, ratificare e applicare puntualmente le bronzee ascendenze divine
delle leggi economiche neoliberiste, in una società civile chiamata, con la mediazione non
del tutto disinteressata del sistema dei partiti, a rispondere unicamente alle
logiche dei mercati.
Pertanto,
una crisi politica porta con sé una crisi della rappresentatività democratica ed
un sostanziale scollamento tra la classe partitica (chiusa nella difesa
accorata dei propri privilegi) e le necessità delle popolazioni.
La
subalternità ideologica del sistema politico, rispetto alle istanze di dominio
di élites economiche sovranazionali, è talmente evidente da sconfinare nel
pleonasmo.
Lo Stato
moderno - nato insieme al capitalismo industriale e incaricato di celebrarne e
salvaguardarne l’ esistenza - non è riuscito a restare al passo delle esigenze
dell’ accumulazione del capitale e della ricchezza, proprie del capitalismo
immateriale e finanziarizzato; pertanto, adesso dovrà farsi da parte e dare
luogo ad una metamorfosi che condurrà a nuove forme di organizzazione sociale
capaci di andare incontro alle esigenze dei grandi capitali finanziarizzati globali che, via via, vanno facendosi sempre più
pronunciate ed insofferenti a mediazioni di sorta.
Il potere
delle oligarchie economiche è così forte da non rispettare nemmeno il buon
senso e la logica della storia recente: oltre ad essere state la causa della
crisi attuale, continuano a proporsi come la soluzione ai problemi che ne
derivano, nel totale dispregio dell’ intelligenza dei popoli.
Il drago neoliberista chiede alle popolazioni la riscossione di sempre più pesanti tributi, che rischiano di sprofondare la vita delle comunità nella barbarie dell' economicismo più spietato; purtroppo, all' orizzonte, non si intravede un San Giorgio in grado di opporsi al mostro e liberare il futuro delle masse da quello che, ad oggi, sembra essere un destino ineluttabile.
Il drago neoliberista chiede alle popolazioni la riscossione di sempre più pesanti tributi, che rischiano di sprofondare la vita delle comunità nella barbarie dell' economicismo più spietato; purtroppo, all' orizzonte, non si intravede un San Giorgio in grado di opporsi al mostro e liberare il futuro delle masse da quello che, ad oggi, sembra essere un destino ineluttabile.
Nessun commento:
Posta un commento